Lavorare per vivere o vivere per lavorare? Quando si lascia un’azienda, spesso manca un vero purpose

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Negli ultimi anni, due fenomeni hanno ridefinito il rapporto tra persone e lavoro: la Great Resignation e la YOLO Economy. Nati in risposta a un contesto globale in crisi, hanno accelerato una trasformazione profonda, spingendo milioni di persone a chiedersi: “Vale la pena continuare così?”

La risposta, per molti, è stata no. E per le aziende, questo si è tradotto in una sfida epocale: non basta più offrire uno stipendio competitivo. Serve un purpose.


La Great Resignation: un cambiamento strutturale, non passeggero

La Great Resignation è il nome dato all’ondata di dimissioni volontarie che ha colpito il mercato del lavoro globale, a partire dagli Stati Uniti, nel 2021. Secondo il Bureau of Labor Statistics, solo in novembre 2021, più di 4,5 milioni di lavoratori americani hanno lasciato il proprio impiego.

Non si è trattato solo di un fenomeno post-pandemico. È stato il segnale di una rottura profonda tra lavoratori e modelli organizzativi tradizionali: poca flessibilità, mancanza di riconoscimento, ritmi insostenibili e un senso crescente di disconnessione tra ciò che si fa e ciò che si è.


YOLO Economy: il valore della libertà e dell’autenticità

In parallelo, ha preso piede un altro trend culturale: la YOLO Economy (You Only Live Once). Sempre più persone, in particolare tra Millennials e Gen Z, hanno iniziato a lasciare carriere stabili per inseguire passioni personali, avviare progetti imprenditoriali o semplicemente ritrovare un equilibrio di vita più autentico.

Il messaggio è chiaro: la realizzazione personale non può più essere sacrificata sull’altare della stabilità lavorativa. In questo contesto, il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento, ma deve essere coerente con valori, interessi e identità.


Per le imprese, una svolta inevitabile: riscoprire (e dichiarare) il purpose

Questi cambiamenti stanno costringendo le organizzazioni a ripensarsi. Oggi, le aziende non possono più permettersi di essere “neutre” sul piano valoriale: devono dire chiaramente chi sono, cosa rappresentano, e perché esistono.

È qui che entra in gioco il purpose aziendale: non uno slogan di marketing, ma una bussola strategica e culturale. Le organizzazioni che hanno saputo ridefinire il proprio scopo — in modo autentico e coerente — stanno emergendo come leader non solo etici, ma anche competitivi.


Cosa cercano oggi le persone nel lavoro?

Senso e identità

Vogliono sentirsi parte di qualcosa di più grande: non solo dipendenti, ma protagonisti.

Flessibilità e fiducia

Smart working, orari flessibili, autonomia decisionale sono diventati standard attesi, non più benefit eccezionali.

Coerenza tra valori dichiarati e pratiche reali

Il rischio di purpose washing è elevato. Le persone notano subito quando i valori sono solo facciata.


L’azienda purpose-driven: come si costruisce?

Una vera organizzazione orientata al purpose:

Coinvolge le persone nella definizione della propria missione e visione.

Integra i valori in ogni processo: dal recruiting al customer service.

Comunica in modo trasparente e coerente, anche nei momenti critici.

Misura l’impatto sociale, ambientale e relazionale, non solo quello economico.


Non solo etica: il purpose come asset strategico

Dati recenti dimostrano che le aziende purpose-driven:

Hanno una maggiore capacità di attrarre e trattenere talenti.

Sono percepite come più affidabili e innovative.

Registrano migliori performance nel lungo periodo, grazie a una cultura solida e condivisa.


Conclusione: il futuro del lavoro ha bisogno di purpose

La Great Resignation e la YOLO Economy non sono state una crisi di passaggio, ma un’accelerazione verso un nuovo paradigma del lavoro. Le organizzazioni che sapranno rispondere a questo cambiamento culturale saranno quelle che metteranno il purpose al centro: autentico, condiviso e vissuto quotidianamente.

Perché oggi, il vero vantaggio competitivo è avere una direzione chiara e umana. Un perché che risuona con le persone.

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