
La presenza di Ocratossina A (OTA) nei formaggi grattugiati preconfezionati rappresenta una preoccupazione crescente per la sicurezza alimentare.
Mentre l’aflatossina M1 è ben nota e monitorata nei derivati del latte, la presenza di OTA nei formaggi stagionati è legata a una contaminazione di tipo ambientale, spesso dovuta alla crescita di muffe durante la stagionatura e la conservazione.
La ricerca
Un recente studio dell’università di Pisa ha analizzato 42 campioni di formaggi grattugiati preconfezionati acquistati in Toscana, suddivisi in quattro gruppi: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, pecorino e formaggi misti.
Tutti i campioni, eccetto uno, sono risultati positivi alla presenza di OTA, con concentrazioni fino a 19,15 ng/g. Il Parmigiano Reggiano ha mostrato i valori medi più alti (5,06 ng/g), superando le linee guida UE per i formaggi a pasta dura (3 ng/g). Il pecorino (2,25 ng), i formaggi misti (2,15 ng) e il Grana Padano (1,53 ng) hanno mostrato valori medi inferiori ma comunque non trascurabili.
La presenza elevata di OTA nella crosta, legata al tempo di stagionatura e all’umidità ambientale, è con tutta probabilità un fattore critico. La crosta, infatti, risulta essere la parte maggiormente esposta al rischio di contaminazione da micotossine. Secondo la normativa vigente, è permesso includere fino al 18% di crosta nei formaggi grattugiati, compresi quelli a marchio DOP.
Un vuoto normativo da colmare
Attualmente, non esistono limiti massimi armonizzati a livello europeo per l’OTA nei prodotti lattiero-caseari. Eppure, anche l’EFSA aveva già indicato il formaggio come una delle principali fonti di esposizione all’OTA nella dieta.
Tutto ciò rappresenta una lacuna significativa nella politica UE di sicurezza alimentare che merita attenzione da parte dei decisori politici e delle autorità di controllo.
Una lettura più ampia del rischio OTA nei formaggi grattugiati
La diffusione pressoché ubiquitaria dell’OTA nei campioni analizzati suggerisce che non si tratti di casi isolati o anomalie, ma di un problema sistemico, probabilmente sottovalutato.
La presenza di questa micotossina nei prodotti grattugiati può essere interpretata come il risultato di una catena produttiva complessa, in cui convergono fattori come:
- l’utilizzo di materiali eterogenei, inclusa la crosta e formaggi provenienti da diversi lotti e condizioni di stagionatura;
- pratiche industriali di grattugiatura e confezionamento che, se non ottimizzate, possono favorire la contaminazione;
- e in alcuni casi, le pressioni economiche, che possono spingere verso l’impiego di parti meno pregiate del formaggio per contenere i costi.
In questa prospettiva, l’OTA può essere considerata un indicatore indiretto della qualità della filiera, oltre che un contaminante chimico. La possibilità di includere fino al 18% di crosta nei prodotti grattugiati, pur legalmente ammessa, andrebbe rivalutata alla luce dei potenziali rischi.
In assenza di limiti normativi specifici per l’OTA nei latticini, si crea una zona grigia in cui il rispetto formale della legge potrebbe non coincidere con una piena tutela della salute pubblica.
Implicazioni per la filiera e strategie di mitigazione
I risultati dello studio rendono necessario avviare una riflessione sull’intera filiera produttiva dei formaggi stagionati e grattugiati.
È certamente consigliabile intensificare il monitoraggio della OTA a livello aziendale, magari usando tecniche analitiche avanzate per la rilevazione precoce, e adottare strategie di mitigazione efficaci, quali:
- pratiche igieniche rigorose durante la produzione e la stagionatura.
- controllo delle condizioni di stagionatura quali temperatura, umidità e ventilazione.
- controllo del contenuto di sale e di altri fattori ambientali.
Conclusioni
Negli ultimi anni i consumatori stanno prestando sempre maggiore attenzione alla qualità e sicurezza dei prodotti, la gestione proattiva del rischio OTA diventa quindi un dovere strategico per i produttori, in particolare nel caso di eccellenze del made in Italy.
Una filiera trasparente, controllata e responsabile rappresenta non solo una garanzia di sicurezza, ma anche un elemento distintivo di valore per l’intero comparto lattiero-caseario.