Oltre l’obesità e la malnutrizione: il cibo come responsabilità collettiva

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Una bambina in un supermercato afferra una busta di dolci, immagine che rappresenta l’aumento dell’obesità infantile e l’impatto del cibo ultraprocessato promosso dall’industria alimentare.

I dati recenti diffusi dall’UNICEF in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione evidenziano che l’obesità ha ormai superato il sottopeso come forma prevalente di malnutrizione nel mondo. Oggi un bambino o adolescente su dieci, circa 188 milioni di individui, è obeso, mentre 391 milioni si trovano in condizioni di sovrappeso.

A fronte di questo fenomeno, i tassi di sottopeso tra i 5 e i 19 anni sono scesi dal 13% al 9,2% negli ultimi vent’anni. In Italia, il fenomeno non è meno preoccupante: oltre un quarto dei bambini è in sovrappeso e uno su dieci è obeso. Questi numeri si traducono in un rischio crescente di sviluppare, persino in età giovanile, malattie croniche come diabete, ipertensione e disturbi metabolici.

Secondo l’UNICEF, la radice del problema è soprattutto ambientale e culturale. Troppi bambini crescono in contesti che favoriscono l’accesso a cibi ultraprocessati e poveri di nutrienti, a discapito di frutta, verdura e alimenti freschi.

L’ONG individua tre priorità per invertire la rotta:

  1. Costruire ambienti alimentari più sani e accessibili.
  2. Promuovere politiche pubbliche efficaci che orientino consumo e produzione e verso modelli più sostenibili.
  3. Investire in prevenzione e informazione, partendo da scuole, famiglie e comunità.

Dalla società civile un richiamo al cambiamento

Su questa stessa linea si colloca il recente appello lanciato dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD), insieme all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e a Slow Food Italia.

Gli esperti chiedono all’industria alimentare di diventare un’alleata nella prevenzione delle patologie croniche, non una parte del problema. Il modello produttivo dominante, infatti, favorisce cibi processati, con eccesso di zuccheri, grassi idrogenati, sale e additivi che migliorano gusto e conservazione a scapito della naturalità e della salute.

È ormai scientificamente accertato che una dieta scorretta è legata all’aumento di obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e alcuni tumori.

Le richieste da parte dei firmatari sono chiare:

  • Ridurre il grado di processazione degli alimenti.
  • Limitare zuccheri aggiunti, sale e additivi non necessari.
  • Rivedere i sistemi di conservazione.
  • Ripensare il marketing, rendendolo più trasparente e veritiero.
  • Fornire etichette chiare, con liste ingredienti brevi e leggibili.

Come ha ricordato Riccardo Candido, presidente AMD, la salute pubblica dipende anche dai modelli alimentari e sociali che scegliamo di costruire. Per questo, è fondamentale che l’industria, che ha un ruolo determinante nella loro definizione, assuma una responsabilità concreta in materia di salute pubblica.

Industria alimentare: da ostacolo a motore di innovazione

Negli ultimi anni, l’industria alimentare ha spesso reagito alle pressioni sanitarie e normative con atteggiamenti difensivi, anziché con proposte che guardino al futuro. Un caso emblematico è quello di Assobibe, che ha lavorato per mesi per ritardare l’entrata in vigore della sugar tax – una misura che in Italia è comunque limitata e simbolica, e che difficilmente modificherebbe in modo sostanziale i consumi.

Invece di opporsi, il settore avrebbe potuto anticipare il cambiamento, accelerando la riformulazione dei prodotti, riducendo così gli zuccheri, e soprattutto investendo su nuove categorie salutistiche, come ad esempio le bevande fermentate, più in linea con la cultura alimentare mediterranea e con le esigenze salutistiche dei consumatori moderni.

La vera innovazione non consiste nel replicare formule industriali sempre più standardizzate, ma nel coniugare salute, gusto e sostenibilità. Le aziende che sapranno farlo conquisteranno fiducia e vantaggio competitivo in un mercato sempre più attento alla trasparenza e al benessere.

Ripensare il valore del cibo: un bene comune, non un prodotto

Il nodo centrale, dunque, è etico e strategico. L’obesità e le malattie metaboliche non sono “fallimenti individuali”, conseguenza esclusiva di un errato stile di vita, ma il risultato sistemico di un ambiente alimentare disfunzionale, costruito intorno a convenienze economiche di breve periodo.

Il cibo deve tornare ad essere un bene comune, non un semplice prodotto di consumo. Ciò richiede politiche pubbliche ambiziose, investimenti nella ricerca e, soprattutto, un’industria alimentare capace di assumersi una responsabilità sociale e condivisa.

Riformulare, innovare, educare e collaborare: queste sono le chiavi per un sistema alimentare che metta al centro la salute delle persone e la sostenibilità del pianeta. Il futuro del settore non sarà di chi resiste al cambiamento, ma di chi saprà interpretarlo con visione e responsabilità.

Link di approfondimento:

https://www.unicef.it/media/l-unicef-su-giornata-mondiale-dell-alimentazione

https://panoramadellasanita.it/site/diabetologi-lindustria-alimentare-sia-nostra-alleata-nella-prevenzione

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