Olio EVO: la crisi del settore e una nuova via per l’eccellenza italiana

Punti chiave

oliera con olio EVO insieme a rami e frutti d'olivo

Il paradosso dell’olio italiano: patria dell’extravergine, ma non autosufficiente

L’Italia è da sempre associata all’eccellenza dell’olio extravergine d’oliva nel mondo, eppure oggi produce meno della metà dell’olio necessario al fabbisogno interno, evidenziando una sempre crescente difficoltà nel mantenere la competitività sui mercati internazionali.

I dati aggiornati al 31 maggio 2025 dai Registri Telematici dell’Olio (RTO) rivelano che solo il 45,9% dell’EVO presente nel nostro mercato è di produzione nazionale. Un deficit che supera le 600 mila tonnellate annue, colmato dalle importazioni, spesso a basso costo e a qualità variabile.

La campagna 2024/2025 ha segnato una produzione italiana di circa 240.000 tonnellate, contro un fabbisogno stimato tra le 850.000 e le 900.000. A rendere il quadro ancora più critico, le giacenze italiane risultano in calo del 36% su base annua, mentre quelle provenienti da altri Paesi UE sono cresciute del 57,2%.

Le cause di questa produzione ridotta sono numerose e complesse e non possono essere attribuite unicamente all’emergenza Xylella, agli effetti della siccità o ai fenomeni climatici estremi, né alla sola frammentazione delle proprietà agricole, che pure ostacola una gestione efficiente del settore.

Per noi il vero problema è culturale: in Italia, patria dell’extravergine, manca una diffusa consapevolezza del valore di questo prodotto. Mentre siamo disposti a spendere decine (se non centinaia) di euro per un buon vino, l’olio EVO – che può esaltare o rovinare un piatto – non riceve lo stesso riconoscimento. Eppure, a differenza dell’alcol, i composti bioattivi dell’olio extravergine hanno effetti protettivi per la salute.

Anche il potenziale qualitativo è sottoutilizzato: le 50 denominazioni DOP e IGP coprono appena l’8,2% della produzione nazionale, e persino il biologico segna il passo. Ma la soluzione non sta nella mera concentrazione industriale o nell’aumento delle certificazioni: senza un cambiamento nella percezione del consumatore, questi sforzi rischiano di essere inefficaci.

La debolezza del settore è evidente anche dai numeri: il solo colosso spagnolo Migasa fattura quanto i venti principali marchi italiani messi insieme. Un divario che dimostra quanto l’Italia stia perdendo terreno, non per mancanza di qualità, ma per una strategia inefficace e una scarsa valorizzazione del prodotto.

Senza un approccio integrato ed un piano strategico, l’Italia rischia di perdere terreno ulteriore in un settore che è non solo identitario ma anche tuttora economicamente rilevante. Serve un rilancio basato su:

  • Investimenti in tecniche produttive resilienti;
  • Consolidamento a livello aziendale e cooperativo;
  • Promozione delle certificazioni DOP-IGP e del biologico;
  • Valorizzazione del “Made in Italy”;
  • Cultura alimentare.

Una possibile risposta normativa

In questo scenario difficile, arriva un segnale politico di rilievo, che speriamo diventi anche concreto.

È stato appena depositato un disegno di legge che punta a ridefinire e rilanciare il settore olivicolo italiano attraverso la definizione dell’Olio EVO di alta Qualità Italiano.

Le produzioni dovrannorispettare parametri chimici ed organolettici di alto livello e più stringenti rispetto al regolamento comunitario: acidità ≤ 0.4 %, biofenoli ≥ 250 mg/kg, perossidi ≤ 12 (meq O2/kg), k270/268 ≤ 0.20, k232 ≤ 2.4, delta K ≤ 0.005, cere ≤ 100 mg/kg, esteri etilici ≤ 15 mg/kg, mediana del fruttato > 2.

A supporto di questo rigoroso sistema di classificazione è previsto anche un bollino ufficiale in modo da garantire trasparenza e certezza di acquistare un prodotto italiano autentico e di eccellenza.

La proposta, con prima firma della presidente dell’intergruppo parlamentare sull’olivicoltura, prevede anche uno stanziamento di 30 milioni di euro in tre anni per sostenere le imprese olivicole e l’innovazione e digitalizzazione al centro del progetto.

È infatti instituito un fondo da 5 milioni di euro per la ricerca di nuove tecniche di coltivazione sostenibili, mentre dal 2026 sarà attiva una piattaforma blockchain open source per tracciare e certificare ogni fase della filiera olivicola, con dati pubblici e non modificabili, accessibili gratuitamente ai consumatori tramite app e sito del Ministero.

Non manca infine l’attenzione al contrasto delle frodi, con un piano straordinario da 10 milioni di euro, e alla cultura dell’olio, con l’introduzione dal 2026/27 dell’insegnamento di “Cultura, tecnica e valorizzazione dell’olivo e dell’olio EVO” in istituti agrari, alberghieri e turistici e turistici e l’istituzione di uno o più centri “OlivoCULTURA”, per eventi, corsi di formazione e promozione internazionale.

Conclusione: una qualità da difendere, un’identità da rilanciare

Il disegno di legge rappresenta una possibile svolta per il settore, il cui futuro si deve basare più che sui volumi, sulla qualità certificata, sulla cultura di prodotto e sulla tracciabilità digitale.

Qualora questo disegno di legge ricevesse un sostegno concreto da parte del Governo, potrebbe, insieme alla collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni, aiutare l’Italia a riconquistare una leadership globale, fondata non solo sul suo illustre passato, ma anche sulla capacità di guidare l’innovazione nel settore.

Link di approfondimento:

https://www.cronachedigusto.it/scenari/olio-extravergine-estero/

https://www.gamberorosso.it/notizie/olio/extravergine-di-qualita-disegno-di-legge

https://www.teatronaturale.it/pensieri-e-parole/editoriali/44892-i-colossi-spagnoli-e-i-nani-italiani-dell-olio-di-oliva-ecco-perch-siamo-morti.htm

Punti chiave

Lascia un commento

Condividi l'articolo:

Articoli correlati