Una blockchain pubblica interoperabile per l’alimentare e i problemi che vive è l’auspicio dell’umanità.
“L’elefante”, però, è grande e va mangiato a pezzi.
Stiamo vivendo un cambiamento epocale, come lo è stata internet 25/30 anni fa, che introdurrà valori, quali efficacia, efficienza e, quindi, legittimità e inviolabilità, quest’ultimi propri delle DLT.
La guerra tecnologica che si sta svolgendo, incontra un sistema agroalimentare immaturo e frammentato, che sconta il ritardo culturale e valoriale alla base delle strategie aziendali e del paese. Un ritardo anche internazionale (Covid-19 docet) rispetto agli stessi obiettivi ONU per combattere la fame nel mondo.
Più che la tecnologia, occorre favorire il consenso tra gli attori delle filiere e, soprattutto, offrire una visione del futuro sistema #ecoagroalimentare.
Condividiamo lo scenario proposto recentemente da Dario Dongo e già commentato qui di una blockchain pubblica interoperabile in cui possano essere collegate reti differenti aumentando così l’integrità dei dati e la fiducia tra le parti.
“L’elefante, però, è grande e va mangiato a
pezzi, cercando di avere consapevolezza
della sua mole.”
Occorre infatti essere realistici e procedere per passi.
Stiamo vivendo un cambiamento epocale, come lo è stato internet 25/30 anni fa, che introdurrà valori, quali efficacia, efficienza e, quindi, legittimità e inviolabilità, quest’ultimi propri delle DLT.
La guerra tecnologica che si sta svolgendo, incontra un sistema agroalimentare immaturo e frammentato, che sconta il ritardo culturale e valoriale alla base delle strategie aziendali e del paese. Un ritardo anche internazionale (Covid-19 docet) rispetto agli stessi obiettivi ONU per combattere la fame nel mondo.
Nello specifico, gli operatori molto spesso sono poco propensi a condividere i dati con gli altri stakeholder.
Quindi sono nate soluzioni, quali IBM Food Trust, che rispondono alle esigenze del mercato attuale e che cercano di assecondare l’esigenza della riservatezza (dei “segreti di pulcinella” per molti esperti del settore), ma che sono certamente pronte ad aprirsi al nuovo contesto culturale emergente.
Dall’altra proliferano false soluzioni, proposte con l’esca comunicativa (origine/storia del prodotto, Made in Italy ecc.) che purtroppo minimizzano il reale ruolo e l’effettivo valore che la blockchain avrà nell’evoluzione del settore.
Come pure riteniamo minima l’ulteriore applicazione della blockchain al settore del biologico, che rischia di essere sviluppata solo dal punto di vista comunicativo, vanificandone il suo reale effetto sul segmento.
“Più che la tecnologia, occorre favorire il
consenso tra gli attori delle filiere e,
soprattutto, offrire una visione del futuro
sistema eco-agro-alimentare.”
Chiarita la complessità “dell’elefante” e maturata la consapevolezza della mole, si può decidere da dove iniziare, senza sperperare “la risorsa” disponibile ma finalizzando consapevolmente gli sforzi.
Viceversa, proporre la blockchain nell’agroalimentare senza conoscere a fondo il settore può comportare errori che si riverseranno sulle aziende con conseguenti mancate opportunità.
MEALeFOOD
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